《达芬奇密码》第二章(一)
A più di un chilometro di distanza, il gigantesco albino chiamato Silas varcò zoppicando il portone principale della lussuosa residenza della sua associazione: un palazzo di arenaria grigia sulla Rue La Bruyère. Il cilicio - una cintura irta di spine nella parte interna - attorno alla coscia gli in-cideva la pelle, ma il suo cuore cantava di soddisfazione per il servizio re-so a Dio.
"Il dolore è buono."
I suoi occhi dalle iridi rosse esaminarono in fretta l'atrio mentre entrava nella residenza. Era vuoto. Salì silenziosamente le scale per non destare nessuno dei suoi fratelli numerali La porta della sua camera era aperta; lì le serrature erano proibite. Entrò e accostò la porta dietro di sé.
La stanza era spartana: pavimento di rovere, un armadio di abete, una brandina in un angolo, che gli serviva da letto. Quella settimana, Silas era ospite a Parigi, ma da molti anni godeva della benedizione di un simile asi-
lo a New York City.
"Il Signore mi ha offerto il suo rifugio e mi ha dato uno scopo nella vi-ta."
E quella sera, finalmente, Silas pensava di avere cominciato a ripagare il suo debito. Corse all'armadio, recuperò il cellulare nascosto nel cassetto e compose un numero.
«Sì?» gli rispose un uomo.
«Maestro, sono tornato.»
«Parla» ordinò l'uomo. Pareva soddisfatto di udirlo.
«Tutt'e quattro se ne sono andati. I tre sénéchaux e il Grand-Maître.»
Per qualche istante, l'uomo non rispose, come se mormorasse una pre-ghiera. «Allora, penso che tu abbia l'informazione.»
«Tutt'e quattro hanno detto la stessa cosa. Ciascuno indipendentemente dall'altro.»
«E tu credi loro?»
«La concordanza era troppo grande per trattarsi di una coincidenza.»
Un respiro eccitato. «Eccellente. Temevo che il vincolo alla segretezza, tipico di quella fratellanza, l'avesse avuta vinta.»
«La prospettiva della morte è una forte motivazione.»
«Allora, figlio mio, dimmi che cosa devo sapere.»
Silas si rendeva conto che le informazioni strappate alle sue vittime lo avrebbero stupito. «Maestro, tutt'e quattro hanno confermato l'esistenza della clef de voûte, la leggendaria "chiave di volta".»
Sentì che l'interlocutore traeva bruscamente il fiato; percepì con nettezza l'eccitazione del Maestro. «La chiave di volta. Esattamente come sospetta-vamo.»
Secondo la leggenda, la fratellanza aveva creato una mappa di pietra - una chiave o pietra di volta - una tavoletta scolpita che rivelava il na-scondiglio del massimo segreto della fratellanza: un'informazione così im-portante che la sua protezione era la ragione dell'esistenza stessa della fra-tellanza.
«Quando avremo in mano la chiave di volta» disse il Maestro «saremo a un solo passo di distanza dal nostro obiettivo.»
«Siamo più vicino di quanto lei non pensi. La chiave di volta è qui a Pa-rigi.»
«Parigi? Incredibile. Sembra persino troppo facile.»
Silas riferì gli ultimi avvenimenti della notte; come tutt'e quattro le vit-time, negli istanti precedenti la morte, avessero disperatamente cercato di
ricomprarsi la loro vita senza Dio raccontando il loro segreto. Ciascuno aveva detto a Silas la stessa cosa: che la chiave di volta era astutamente nascosta in un punto preciso di una delle antiche chiese di Parigi, quella di Saint-Sulpice.
«Dentro una casa del Signore!» esclamò il Maestro. «Quanto si prendo-no gioco di noi!»
«Come hanno fatto per secoli.»
Il Maestro tacque, come per godersi appieno il trionfo di quel momento. Infine parlò: «Hai reso un grande servizio a Dio. Abbiamo atteso per secoli questo momento. Devi recuperare la pietra per me. Immediatamente. Que-sta notte stessa. Tu sai qual è la posta».
Silas sapeva che la posta era inestimabile, ma quanto gli chiedeva il Ma-estro gli pareva impossibile. «Quella chiesa è una fortezza, soprattutto di notte. Come faccio a entrare?»
Con il tono sicuro di sé delle persone importanti, il Maestro gli spiegò che cosa dovesse fare.
Quando Silas chiuse la comunicazione, la sua pelle fremeva nell'attesa.
"Un'ora" ripeté a se stesso, lieto che il Maestro gli avesse concesso il tempo di fare la necessaria penitenza, prima di entrare in una casa di Dio. "Devo purgare la mia anima dei peccati di quest'oggi." I peccati da lui commessi avevano uno scopo santo. Le azioni di guerra contro i nemici di Dio si effettuavano da secoli. Il perdono era assicurato.
Eppure, come Silas sapeva, l'assoluzione richiedeva un sacrificio.
Dopo avere chiuso gli scuri, si spogliò e si inginocchiò al centro della stanza. Guardando in basso, osservò il cilicio legato alla coscia. Tutti i veri seguaci della Via portavano quello strumento, una fascia di cuoio irta di uncini metallici che incidevano la pelle come continuo memento delle sof-ferenze di Cristo. Il dolore causato dagli uncini aiutava anche a vincere i desideri della carne.
Sebbene Silas, quel giorno, avesse portato il cilicio per più delle due ore richieste, sapeva che si trattava di una giornata particolare. Prese la fibbia e la strinse di un foro, serrando i denti quando gli uncini gli entrarono ancora più profondamente nella carne. Esalando lentamente il fiato, assaporò il dolore come rito di purificazione.
"Il dolore è buono" sussurrò fra sé, ripetendo le sacre parole di padre Jo-semaría Escrivá, il Maestro dei Maestri. Anche se Ascriva era morto nel 1975, la sua saggezza era sopravvissuta, le sue parole erano ancora sussur-
rate da migliaia di servitori fedeli, in tutto il globo, quando si inginocchia-vano per terra ed eseguivano la sacra pratica nota come "mortificazione corporale".
Silas rivolse ora l'attenzione a una grossa corda annodata, arrotolata con precisione sul pavimento accanto a lui. La "disciplina". I nodi erano spor-chi di sangue rappreso. Ansioso di giungere alla purificazione attraverso il dolore, Silas recitò una breve preghiera. Poi, afferrata la corda, chiuse gli occhi e si sferzò con violenza la schiena, in modo da sentire i nodi ferirgli la pelle. Una seconda sferzata gli lacerò la carne. Poi un'altra e un'altra.
"Castigo corpus meum."
E infine sentì scorrere il sangue.
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